A pomeriggio avanzato, con il buio ormai alle porte, la temperatura si era fatta frizzante. Inghiottite dalla penombra e dal silenzio, proseguiste indisturbate, addentrandovi nei corridoi dell’azienda.
Cautamente procedeste, gli sguardi attoniti, per non far risuonare nel desolato edificio, il rumore dei passi, scandito dal ticchettio dei tacchi a spillo.
Da una delle porte al fondo del corridoio, filtrava un filo di luce, a significare la presenza di qualcuno, probabilmente Giuseppe. Per un attimo ti sentisti sollevata: non ti aveva mentito, stava veramente lavorando.
Ti venne quasi da ridere, sentendoti improvvisamente sciocca, immersa in quella situazione da trama cinematografica, ma un gesto significativo di Caterina che ti incitava al silenzio, ti riportò alla realtà della situazione.
Una manciata di passi vi distanziava dal quell’ufficio e, inaspettatamente, giunsero a voi rumori e parole in sordina. Diventasti di ghiaccio, quando, riconosciuta la voce del tuo compagno, udisti una fievole risata di donna. Sbiancasti in volto, pietrificata. Caterina dovette scuoterti per benino, prima di riuscire a ottenere la tua attenzione.
<Andiamo via, andiamo via, io non voglio vedere, già sento sto male adesso, io paura di quello che fanno dentro uficio!> Bisbigliasti tutto d’un fiato. <Allora siamo venute per niente, lui deve sapere che sai, se vuoi vado io!> Una smorfia di disgusto, mista allo sgomento trasformò il tuo splendido viso. Scuotendo il capo, sbigottita, raccogliesti tutte le tue forze e prendendo la mano della tua amica, l’avvicinasti a te, disponendoti esattamente di fronte all’uscio. Trascorsero alcuni secondi, per dar modo alle tue forze di trasmetterti il coraggio di impugnare quella maniglia. Lentamente, spingesti il battente verso l’interno, la luce della lampada da tavolo, rivolta verso la scrivania, forniva una discreta penombra allo spettacolo in corso, inequivocabile. Completamente nudi, lui seduto sulla poltrona, lei in piedi. Appoggiava le flaccide natiche sul piano del mobile, voltando le spalle alla porta...
Cautamente procedeste, gli sguardi attoniti, per non far risuonare nel desolato edificio, il rumore dei passi, scandito dal ticchettio dei tacchi a spillo.
Da una delle porte al fondo del corridoio, filtrava un filo di luce, a significare la presenza di qualcuno, probabilmente Giuseppe. Per un attimo ti sentisti sollevata: non ti aveva mentito, stava veramente lavorando.
Ti venne quasi da ridere, sentendoti improvvisamente sciocca, immersa in quella situazione da trama cinematografica, ma un gesto significativo di Caterina che ti incitava al silenzio, ti riportò alla realtà della situazione.
Una manciata di passi vi distanziava dal quell’ufficio e, inaspettatamente, giunsero a voi rumori e parole in sordina. Diventasti di ghiaccio, quando, riconosciuta la voce del tuo compagno, udisti una fievole risata di donna. Sbiancasti in volto, pietrificata. Caterina dovette scuoterti per benino, prima di riuscire a ottenere la tua attenzione.
<Andiamo via, andiamo via, io non voglio vedere, già sento sto male adesso, io paura di quello che fanno dentro uficio!> Bisbigliasti tutto d’un fiato. <Allora siamo venute per niente, lui deve sapere che sai, se vuoi vado io!> Una smorfia di disgusto, mista allo sgomento trasformò il tuo splendido viso. Scuotendo il capo, sbigottita, raccogliesti tutte le tue forze e prendendo la mano della tua amica, l’avvicinasti a te, disponendoti esattamente di fronte all’uscio. Trascorsero alcuni secondi, per dar modo alle tue forze di trasmetterti il coraggio di impugnare quella maniglia. Lentamente, spingesti il battente verso l’interno, la luce della lampada da tavolo, rivolta verso la scrivania, forniva una discreta penombra allo spettacolo in corso, inequivocabile. Completamente nudi, lui seduto sulla poltrona, lei in piedi. Appoggiava le flaccide natiche sul piano del mobile, voltando le spalle alla porta...
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