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martedì 27 agosto 2013

                                    " UN CIGNO DI NOME ANNA" (recensione personale) 
  
 
In queste pagine racconto di mia madre, di quello che è stata, delle nostre vite parallele, dove abbiamo condiviso drammi e frammenti di spensieratezza. Io unica voce della sua esistenza, condivisa così profondamente, da coglierne le vibrazioni, le angosce e le paure.
Nata a Yalta, sul Mar Nero, vive un'infanzia difficile. Deportata in Germania, appena quattordicenne e già orfana di entrambi i genitori, affronta le avversità, lottando tra ferite e pregiudizi. Nel lager di Francoforte sul Meno, conosce mio padre, di Alba; si sposano e si stabiliscono a Torino.
Due figli, ma il matrimonio fallisce agli albori, a causa delle difficoltà delle differenze culturali e linguistiche, oltre alla forzata convivenza con la suocera e due cognate.
Maltrattata, viene cacciata di casa, perché il marito si è "fidanzato" con una ragazza di buona famiglia. Lei si reinventa per non soccombere. Affronta e supera, la solitudine e l'abbandono, accettando di lavorare in un locale notturno, comunque sempre a testa alta.
Si trasforma, grazie anche ad un nuovo amore, in una giovane bella, affascinante, carismatica, elegante, ma anche capricciosa e schiva. Vivace e malinconica, amante della danza, della pittura e di molte altre espressioni artistiche, dedica alle sue passioni tutta se stessa. Emotivamente instabile, fragile, provata offesa, più volte tradita. Costretta a "vivere" i figli a distanza, sia per gli impegni artistici e sentimentali, che per non rinunciare a quei privilegi conquistati, per non tornare al passato.
Gli anni del benessere svaniscono presto. Cagionevole di salute, lentamente si trasforma ancora, cancellando definitivamente a causa della malattia e dei dispiaceri, la donna eclettica, generosa, instancabile, "al di sopra delle righe" della giovinezza.
Un ultimo lampo di vitalità: l'incontro con il suo idolo Rudolph Nureyev, in occasione di una tournée al Parco del Valentino. Lo incontra e, in quell'occasione, scopre vicende personali che li accomunano.
Accanto a lei ho affrontato percorsi tortuosi, malumori e attimi di esilarante euforia, plagiata dal suo amabile egocentrismo, arrendendomi alla sua forza di carattere, alle sue bizzarrie, tipiche dello spirito di un'artista, sino al giorno della sua morte.
Parlo di lei per creare qualcosa di tangibile, a testimoniare l'essenza di una donna "speciale", troppo facilmente criticata e giudicata, che ha privilegiato la solitudine, come "senso della vita" in cambio della propria libertà.
Tutto questo, dentro i contorni scenografici dei questa straordinaria e adorata Torino: piccoli camei, inseriti nei percorsi più significativi di questa storia.
 

 
Questo quadro è stato dipinto da mia madre alla fine degli anni '80. Con enorme fatica, date le dimensioni, trascorrendo nottate in bilico sui gradini di una scala, per di giungere al termine di questa opera unica, originale che fa bella mostra di e appesa alla parete della sala di casa mia.

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