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sabato 22 novembre 2014

UNA SORPRESA AUSTRALIANA




Stamattina, nientemeno che il fondatore di Pipeline Luigi Colucci , mi ha sorpreso piacevolmente con la mail che segue:

Cara Luisa,...


le scrivo questa email perché come promesso, mi permetto di esprimerle le mie sensazioni dopo aver letto il suo libro “Un cigno di nome Anna”. Sensazioni non giudizi, perché come lei già sa, noi di Pipeline non siamo una casa editrice, né tantomeno io come Founder sono editore. Quindi troverà di seguito tutti i miei pensieri, esclusivamente personali come semplice lettore, che é riuscito ad infilare la
lettura del suo libro giusto dopo aver completato “L’amore ai tempi del Colera” di Marquez e giusto prima di iniziare “L’anno della morte di Ricardo Reis” di Saramago.
Bene Luisa, ammetto che francamente non sapevo cosa aspettarmi dalla lettura del libro. Sono ben conscio ormai, dopo i racconti che lei ci ha inviato come Pipeliner, della sua capacità di scrivere e di trasferire emozioni al lettore attraverso le sue parole. Ciononostante, come lei ben sa ed immagino abbia sperimentato, le stesura di un romanzo é ben diversa rispetto alla scrittura di un semplice e meno articolato racconto. Il fatto che il libro fosse anche self-published aveva aumentato i miei dubbi sulla realizzazione finale del testo. Ora Luisa, deve sapere che da qualche settimana mi trovo in Australia per lavoro. Sydney. Qui ogni mattina devo prendere un treno che mi porta al centro della città. Dove i quaranta gradi dell’aria bollente sono tenuti a distanza dall’aria condizionata degli edifici di banche e multinazionali. Deve sapere che il treno, quello su cui salgo ogni mattina fa un po’ uno strano giro, e prima di arrivare a destinazione a volte passa dal porto dove vi é una fermata chiamata Circular Quay. Circular, giusto perché é il punto in cui il treno riprende il suo giro circolare e ritorna da dove é venuto.
C’é una cosa curiosa però che avviene in questa fermata. Il treno, che non é una metro, corre sui binari sopraelevati osservando tutta la città dall’alto. Ma giusto prima di arrivare a questa fermata, attraversa una specie di colonnato, di portico, in cui il paesaggio fuori dai finestrini viene nascosto per qualche istante, giusto il tempo che il treno entri in stazione, ed allora lo si vede. A piccole pennellate inizia a comparire l’immenso Harbour Bridge che collega i due estremi della città. Imponente ponte d’acciaio che sovrasta la parte nord di Sy. Si vede l’intero molo, con gigantesche navi da crociera ormeggiate giusto pochi metri da dove corre il treno. Pian piano che le carrozze si spingono verso il punto di sosta, si affaccia timidamente il Teatro dell’Opera di Sydney, Con le sue punte curvilinee, sospinge lentamente il paesaggio per cercare di stare anche lui dentro al ritratto, o almeno in parte. Lo si vede li al lato destro, come un immenso origami di carta biancastra, piegato un po’ alla bell’è meglio e lasciato a metà. E quando il treno si ferma, c’é questo involontario quadro che si dipinge lento ma inesorabile, davanti agli occhi dei passeggeri della linea T3 ogni mattina, L’harbour bridge, il molo, il mare, la costa lontana ed il Teatro dell’Opera. Il tutto dura solo pochi istanti, il tempo che qualche passeggero scenda e qualcun’altra salga sul treno. Poi un fischio e quello riparte. Ed il ponte, con il teatro spariscono dietro il colonnato, aspettando di mostrarsi indifferenti ai prossimi passeggeri. Ecco Luisa, le ho descritto tutto questo, solo perché volevo sapesse che è qui che ho letto il suo libro.
Ho letto il suo libro ogni mattina su quel treno che mostra per qualche istante una sensuale versione di questa città. Mentre nel frattempo mi perdevo con lei per le strade di Torino, da via Roma, fino a Piazza Vittorio. Tra le tranquille case nella provincia agli affollati mercati della zona Crocetta. Forse c’è qualcosa che Lei non sa, ed è che Torino mi ha adottato per qualche anno durante i miei studi universitari, prima di spostarmi e proseguirli in Francia. Il che mi ha permesso di immaginare ancora più vividamente quello che descriveva. C’è una profonda espressività in tutto quello che racconta, Luisa. E il risultato è che è riuscita a trasportarmi lentamente ma con una dolce violenza in quella che stata la sua vita e quella di Anna, pagina dopo pagina. Glielo confesso ho divorato gli ultimi quattro capitoli, con un insaziabile desiderio di seguire lo svolgimento degli eventi. Mi permetto di dire che gli ultimi, credo siano stati scritti probabilmente con più emotività rispetto agli altri, forse perché i ricordi erano semplicemente più vivi e lei più adulta per poterne cogliere le sfumature. E lo si capisce da come ne struttura i periodi, dalla punteggiatura e dall’enfasi, con il risultato di riuscire a far provare le sue emozioni e preoccupazioni al lettore stesso, che a mio avviso è la cosa più bella possa riuscire a fare uno scrittore. 
Ho terminato le ultime pagine del libro, all’ombra della mia terrazza, dove il sole era già tramontato e mi sono ritrovato nell’oscurità a leggere, illuminato solo dalla luce del mio kindle, senza rendermi conto che stavo piangendo. E sa Luisa, credo di essermi commosso non per la naturale fine del libro e per la triste scomparsa di Anna, ma perché nel finale si ha come la sensazione che tutti quegli anni vissuti da sua madre, piombino in qualche modo nelle ultime pagine, filtrate dai suoi occhi e pregne delle sue emozioni. Voltata l’ultima pagina, mi ha lasciato un po’ stordito, non so se ha presente, ma a me succede spesso, quando un libro è riuscito a coinvolgermi e mi ha preso cuore e testa.
In breve Luisa volevo solo ringraziarla per avermi dato la possibilità di leggere la storia della sua vita e quella di Anna. Sua madre deve essere stata una donna davvero straordinaria e sono sicuro che sarebbe fiera di lei per come è riuscita a renderla immortale raccontandone la sua vita in un libro. Per sempre.

É un piacere averla nel nostro team. A presto,
L.

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