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giovedì 29 gennaio 2015

I TUOI GIORNI DELLA MEMORIA



Impaurite, stipate come animali da condurre al macello, vi sistemarono sui convogli di quel vecchio treno, insieme ad altre centinaia di persone come voi, ...senza più identità. Iniziaste un lungo viaggio verso l’ignoto.
Talmente confuse, quasi paralizzate, impotenti, di fronte agli avvenimenti susseguiti tanto rapidamente, da lasciarvi attonite, incapaci di reagire.
Il freddo pungente che vi aveva aggredite nell’attesa di salire sui vagoni, si era placato. Pigiati così, l’uno all’altro, riuscivate ad alleviare il disagio. I miseri stracci indossati, non avrebbero potuto proteggere a lungo il fisico, già indebolito dagli stenti.
Ora comprendo il motivo per cui mal tolleravi la confusione e la folla! Il trauma di simili esperienze, resta indelebile, impresso nell’anima, nella mente e nel corpo.
Trascorsero alcuni giorni, prima che arrivaste a destinazione.
Praticamente senza cibo, l’acqua razionata, offerta con scherno dai soldati delle truppe tedesche che vi scortavano.
Giunte alla méta, quell’orrendo campo di baracche, apparve ai vostri stanchi sguardi, quasi un miraggio.
Sfiniti, bisognosi di un po’di riposo e di una “ripulita” che vi desse un aspetto più umano.
Vi assegnarono le postazioni e le brande per dormire. Il pasto sussisteva in una zuppa a base di cavolo nero, dal sapore discutibile, accompagnato da un pezzo di pane di segala, bisognoso di una “strizzata”, che lo rendesse commestibile. Lo cedesti a un compagno, con disappunto di tua sorella.
Quattordici anni esile, il fisico acerbo. Ne dimostravi al massimo una decina e, non essendo ancora sviluppata, la tua fragile figura ricordava più le sembianze di una bambina: suscitavi tenerezza.
I compagni di prigionia, cominciarono a dimostrare particolare sensibilità e riguardo nei tuoi confronti. Diventasti una sorta di mascotte. Forte del tuo aspetto mingherlino e dello sguardo apparentemente ingenuo dei tuoi vispi occhi dorati, fosti subito consapevole che quella sarebbe stata la tua carta vincente.
Per l’appunto, riuscisti a farti esonerare dai lavori più pesanti. Vera, fu meno fortunata.
Era davvero graziosa e non vi somigliavate. Più alta di statura, si distingueva per i lunghi capelli neri, luminosi e lisci, perennemente raccolti sulla nuca. Delicata nell’esprimersi e, diversamente da te, alquanto timida. Saggia e posata, nonostante la giovane età, suscitava le attenzioni dei giovani compagni, che sentendosi a disagio, cercava di evitare.
Foste accompagnate in fabbrica. Dodici ore al giorno di duro lavoro, senza tregua. Tu, assegnata ad una macchina per la rifinitura di divise e accessori militari.
Breve pausa per il pranzo, insipido, disgustoso e scarso di proteine. Lo lasciavi regolarmente praticamente intatto.
Successivamente, tornata alla tua postazione, venivi colpita da attacchi di sonno, gli occhi faticavano a restare aperti. Fosti ammonita più di una volta, dal caposquadra tedesco del reparto, a questo proposito. Purtroppo, questa debolezza ti costò cara, diventando la causa di un serio infortunio.
Un giorno, il dito medio della mano sinistra, rimase intrappolato nel meccanismo della cucitrice. L’unghia e parte del dito, sembrarono distrutti, irrecuperabili. Ci volle parecchio tempo, perché guarissero. Come conseguenza dell’accaduto, ti rimase l’insolita crescita dell’unghia, divisa verticalmente, a metà.
Continuasti, ciononostante, ad occupare lo stesso posto.
Cominciasti a familiarizzare con l’ambiente, imparando a comunicare anche in tedesco.
Ogni tanto, giungevano da Yalta, nuovi prigionieri, messaggeri di notizie più “fresche” del vostro paese.
Le donne, alloggiate in baracche separate, riuscivano, durante il tempo libero, a confezionare degli indumenti, con vecchie lenzuola o da vecchie coperte, capi più pesanti. Si presentò l’opportunità, in questo modo, di rispolverare le tue “esperienze” sartoriali di un tempo.
Il cibo sempre dannatamente scarso. Costretti a rovistare tra i rifiuti della cucina dei soldati, recuperando bucce di patate o resti di ortaggi che cucinati, potevano ancora tramutarsi in qualcosa di commestibile.
La domenica, riunendovi con gli altri, riuscivate anche a divertirvi un po’. Un prigioniero suonava l’armonica a bocca così, segnando il tempo con le mani, davate sfogo alla vostra giovane età, ballando per dimenticare quella spaventosa situazione. Questi attimi ti offrivano l’illusione di condurre una vita normale. Ma dentro di te, quanta sofferenza e nostalgia!


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