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mercoledì 8 aprile 2015

TEMPI SERENI INSIEME

TEMPI SERENI
Sovente mi capita di viaggiare a ritroso nel tempo, ricordando momenti regalati da trascorsi minuti di ingenuità e gioia infantile.
Ritornare alle ore vissute a immaginare il proprio futuro, progettando chissà quali avventure, con le idee chiare sul nascere, pronte a essere sostituite con nuove prospettive, il modo più sereno di vivere la mia fanciullezza.
Ero come avvolta da un abbraccio protettivo, caldo e affettuoso. Conscia di potermi fidare, non temevo i cambiamenti, grazie alla generosità di due persone straordinarie: i miei nonni.
La mia storia ingarbugliata di bambina, ribaltata da una parte all’altra della città, per consentire a mia madre di lavorare, mi aveva improvvisamente inserita in una famiglia di persone estranee, animate dall’unico desiderio: prendersi cura di me.
Inteneriti dalle vicende di una donna giovane e bella, giunta da lontano e senza più radici ne qualcuno che potesse darle aiuto, si offrirono spontaneamente di pensare alle mie esigenze e, in un certo senso anche alle sue, per nostra fortuna.
Una sorta di adozione, stipulata con una stretta di mano, lealmente e affettuosamente mantenuta sino alla fine dei loro giorni.
Non erano nonni legittimi. Nessun legame di sangue, scelti e amati perché meritevoli di essere ricambiati, proprio per il loro modo di manifestare i sentimenti.
Mi vennero a far visita in compagnia di mia madre, conquistati e incuriositi dai suoi racconti.
Fu un colpo di fulmine. Vivevo in un collegio per bambini orfani o con genitori in difficoltà. Mi aveva inserita lì mia mamma, quando avevo poco più di un anno.
Mio padre si era rifatto un’altra vita, disinteressandosi di me e lei cercava di ricostruirsene una nuova come meglio poteva, ma da sola non riusciva a badare al mio fabbisogno. Prese questa estrema decisione, anche se a malincuore.
Quando mi condussero a casa loro, i nonni erano colmi di entusiasmo. Non avevano avuto figli e ormai alle soglie della vecchiaia, sprigionavano un’euforia palpabile, lo ricordo ancora. 
Il primo giorno fu traumatico per me: avevo poco più di tre anni.
Coccolata e guidata, educata alle responsabilità sin da piccola, in modo che imparassi da sola come comportarmi, cosa decidere.
Dialoghi confidenziali e battute in allegria, si respirava un’atmosfera semplice e genuina.
Non vivevamo nel lusso, non mi fecero mancare mai nulla; accettarono anche una sorta di zoo casalingo. Amavo gli animali me lo trasmise la nonna, quindi mi fu consentito di accoglierne diversi.
Un porcellino d’india, i canarini, pesci rossi tra i più longevi che abbia mai conosciuto. Un simpatico gatto grigio e un barboncino, compagno ideale della mia adolescenza.
Addirittura un pulcino, che in seguito divenne un gallo, il cui canto mattiniero metteva a disagio i nonni nei confronti del vicinato. Dovettero liberarsene.
In questo mondo tanto cinico, dove i sentimenti sono un difetto, una debolezza da nascondere per non essere derisi e l’onestà è una parola in disuso, esattamente come il buon vecchio libro “Cuore”, che tanto significò un tempo. Il sistema maleducato e violento, di una società frenetica e insensibile, mi stupisce riflettere quanto fossero diverse le mie giornate di allora.
La cortesia e la disponibilità verso il prossimo, erano consuetudine. Nessuna critica o giudizio, sempre massimo rispetto per chiunque. Se capitava qualche argomento inconsueto, se ne parlava, mi veniva spiegato con una semplicità, che trovavo naturale condividere.
La nonna, con le sue storielle, dispensava allegria a tutti, vicini di casa compresi.
Se qualcuno era in difficoltà, aveva sempre pronta una parola di conforto e lo accoglieva a braccia aperte offrendogli tutta la sua attenzione.
Organizzavamo piacevoli gite domenicali ai piedi della collina, andando a cercare trattorie tipiche, dove gustare specialità piemontesi.
Si passeggiava lungo gli argini del Po, che emanava quel odore tipico dell’acqua di fiume, che a me sembrava mare. Intanto il nonno mi raccontava della sua giovinezza, le sue avventure da emigrante rientrato dal Venezuela.
Mi raccontavano degli sforzi per aiutare persone perseguitate, che avrebbero rischiato la pena di morte, se fossero state arrestate.
Nonna ospitò in soffitta un partigiano per molto tempo, agli esordi dell’ultima guerra.
La sera, quando la televisione trasmetteva programmi che il nonno non riteneva adatti a una bambina, si giocava a dama o a tombola.
Diversamente, dato che nel piano dello stabile, eravamo gli unici a possedere un televisore, i vicini si riunivano tutti nella mia camera, a seguire “Lascia o raddoppia” presentato dall’allora giovane debuttante Mike Bongiorno.
Carosello” era il mio programma preferito, come per la maggior parte dei bambini.
Nel periodo natalizio, mi accompagnavano a vedere i film per bambini. Ricordo il primo: “Marcellino pane e vino” quante lacrime versate.   
Una bambina serafica e tranquilla, diventata il collante, il legame tra il nonno e la nonna, quella scintilla che ormai avevano perso la speranza di vivere, il loro futuro rinato.
Per me invece, una ricchezza interiore assorbita, metabolizzata: la mia oasi serena. Un luogo del cuore, dove mi rifugio ancora per ritrovare i sapori di un clima familiare perduto.
Sono trascorsi moltissimi anni, ho molte difficoltà, nell’era in cui siamo, a trasmettere ai nipotini certi valori. Ormai è tutto cambiato. L’atmosfera natalizia è un grande business consumistico, ci
si preoccupa esclusivamente dei piaceri materiali.  
Scaldava il cuore, dopo la cena della vigilia, recarsi alla messa di mezzanotte, respirando un’atmosfera magica, condivisa con la gente, un momento di pace e preghiera.
La serenità genuina di allora è sfumata, svanita lasciando spazio alla nevrosi, sempre in agguato. Il rispetto per il prossimo è latente e sono io a sentirmi straniera nel mondo.
Quando voglio ritrovare quegli anni mi rifugio a pensare, poi racconto tra le righe di ciò che scrivo, tutta la serenità di cui ho fatto scorta e di cui mi nutro ancora, nei momenti bui.

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