Petali, quadri e …Anna.
Mancava una manciata di minuti
allo scoccare della mezzanotte.
La casa era ancora pervasa dal
profumo che fiori ricevuti, candidi e funerei, emanavano.
Petali sparsi come sussurri
dell’anima, un ultimo saluto a colmare quel vuoto, simile a una voragine, che
lei amava raccogliere e far seccare, per comporre quadri meravigliosi.
Gli occhi arrossati, da fiumi di
lacrime versate, a causa della scomparsa di mia madre, vagavo senza méta su e
giù per questa casa, dove avevamo trascorso insieme gli ultimi anni della sua
esistenza e dove siamo state vicine e unite, come mai in nessun altro luogo.
Vuota, mi sentivo assolutamente
persa, non trovavo pace e vagavo alla ricerca di lei, che aveva colmato questi
spazi delle sue sofferenze, delle sue allucinazioni, della sua voce.
Pensare che tutto si concludesse
così per me era diventato inaccettabile.
Lungo le pareti di casa,
sfoggiavo un cospicuo numero di quadri tutti dipinti da lei: Anna.
Mi parlavano attraverso i loro
silenzi, i colori e sulle loro immagini, rifletteva il mio volto annichilito
attraverso il vetro, che mi separava dal tocco concreto delle sue mani.
Immagini sovrapposte che mi
infastidivano, quasi il riflesso fosse una sorta di coscienza, che non volevo
guardare, per non alimentare rimorsi e sensi di colpa.
Così, d’improvviso, mi si posò lo
sguardo su di una stampa antica, acquistata ai bagliori degli anni sessanta,
presso un antiquario del centro di Torino.
Non particolarmente grande e
contornata come usava a quei tempi, con una cornice tonda e sottile, anticata
da riflessi oro e rosso scuro.
L’immagine è racchiusa in un
passepartout panna, un cartoncino crema, posto dentro intorno al dipinto, per
dare risalto al soggetto del quadro: sì, perché è ancora lì, nel medesimo posto
di allora.
Quella notte, tolsi la stampa
dalla parete e la trattenni tra le mie mani, memorizzando scrupolosamente ogni
piccolo particolare.
Fissai la stampa di Yalta
affacciata sul Mar Nero, dentro la mia mente e, d’improvviso, mi sembrò che
l’immagine prendesse vita.
Vi trovavo lei bambina, i suoi
fratelli, la casetta modesta e tutta la sua infanzia, molte volte trascorsa
sulle rive di quel mare, scorazzando sulla ghiaia della costa.
Allora compresi che, tutte le
emozioni sprigionate dalla visione del quadro, dovevo essere fermate affinché
non svanissero, perché parlavano della sua esistenza.
Sedetti al computer e, lo stavo
facendo per la prima volta, decisi di iniziare a scrivere un romanzo: il suo.
Provavo l’impellente bisogno di
far rivivere mia madre raccontando tutto quanto ricordavo di lei: del suo
passato, della sua vita.
«Cosa stai facendo a quest’ora?»
esordì mio marito preoccupato dei miei insoliti silenzi.
«Devo fare una cosa, sento che
lei vuole così, adesso.» risposi, ignorando se avesse davvero compreso le mie
intenzioni.
Sorprendentemente, in quella
fresca notte di marzo del nuovo millennio, nacque il titolo prima di ogni altra
cosa: Un cigno di nome Anna e le calzava a pennello.
Erano trascorsi pochi minuti
dalla mezzanotte forse, si e no, una decina e io stavo scrivendo con il cuore,
il mio primo romanzo e lo dedicavo a lei.
Quella stampa antica, che mi
aveva regalato qualche anno addietro, con un gesto di assoluta generosità, non
era diventato che il legame tra i suo passato e la vita condivisa insieme.
Quindi, cancellando il pianto, mi
caricai di un’energia rinnovata e iniziai a mettere giù il primo capitolo.
“Intenta ad osservare una tua vecchia stampa, raffigurante Yalta, vista
dal mare, mi sorprendo a fantasticare, immaginando luoghi mai conosciuti che ti
hanno vista crescere.
Allora scavo nei ricordi più remoti, per far riaffiorare le tue parole
e descrivere nel migliore dei modi, i sentieri della tua esistenza.
A ridosso del litorale, s’innalzano verdi colline, sovrastate da cupe
montagne desolate.
Sulla spiaggia, le sagome dei capanni degli stabilimenti balneari; tra
le fronde degli alberi, arrampicate tra le alture collinari, fanno capolino
alcune abitazioni, dall’aspetto antico. Sospinte
dalla brezza marina, scivolano dolcemente vecchie barche, riflettendo le
candide vele sulle onde lievemente increspate.
Istintivamente immagino te bambinella, raggirarti in quei luoghi,
mescolarti tra la gente. Provo un forte desiderio di trovarmi lì e respirare
profondamente l’aria salmastra del tuo paese, sentire sulla pelle le stesse
sensazioni che, un tempo, ti avevano accompagnata.”
Ecco che già sentivo il dolore
alleviarsi, avevo scoperto il modo per custodirla viva nei ricordi di noi che
l’abbiamo amata.
Dato che, grazie al messaggio
trasmesso da quel quadro, la sua storia e la sua essenza si sono ricomposte,
resterà con noi e tra i posteri, ancora per tanto, tanto tempo.
Insieme alle splendide
composizioni petalose, imprigionate dentro cornici d’epoca intatte e ancora
d’effetto, bouquet multicolori che portano il suo nome e sussurrano memorie
lontane.
Nessun commento:
Posta un commento